Il mio timore si è avverato, è stato Rio meno venti.
Con un aggravante, mentre nel 1992 si puntava a contenere la concentrazione di Co2 entro le 350 parti per milione, siamo ormai arrivati a 400 ppm, una concentrazione che la comunità scientifica mondiale considera insostenibile.
Ho partecipato, con diversi ruoli, a tante conferenze internazionali, ma difficilmente ho visto un così miserevole risultato, un fallimento palese.
Mancati i due obiettivi: green economy e nuova governance ambientale.
Perfino la stampa meno ambientalista ha dovuto evidenziare il tradimento anche delle aspettative meno ambiziose.
La green economy si è trasformata nello show del green washing di troppe multinazionali che, senza rinunciare alle attività inquinanti e climalteranti tradizionali, spesso in aumento, aggiungono qualche azione ‘green’.
Magari si tratta anche di singole azioni di buona qualità ma ininfluenti nella battaglia mondiale per evitare un catastrofico aumento della temperatura, e del tutto annullate proprio dalle crescenti attività dannose, una “compensazione” al contrario.
Eppure sono tante le vere ‘green economy’ messe in atto da decine di migliaia di professionisti, realtà locali, piccole, medie e grandi imprese davvero innovative e che stanno dando lavoro a centinaia di migliaia di persone.
Il documento finale di Rio non riesce nemmeno a definire quale sia la Green Economy utile al mondo, se è per esempio quella della produzione diffusa di energia da fonti rinnovabili oppure quella delle grandi centrali a biomassa che bruciano olio di palma importato da migliaia di km di distanza e prodotto deforestando ettari di foreste.
Rio ha abdicato anche sulla difesa degli oceani dalla pesca insostenibile, un impegno doveroso e che non impattava nemmeno con il muro delle potenti lobby nere del petrolio.
Dopo anni di appelli nemmeno un’Agenzia dell’ONU per l’ambiente.
Ricordo di essere stato a Parigi, all’Eliseo, a un incontro organizzato dall’allora presidente Jacques Chirac dove si lanciò la richiesta di trasformare l’Unep (programma ambientale dell’ONU) in un’agenzia sul modello della FAO o dell’ UNESCO.
Lo stesso neopresidente francese François Hollande, cui va’ dato atto di essere stato l’unico leader del G8 a passare da Rio dopo il vertice del G20 del Messico, ha perorato la causa dell’Agenzia senza alcun esito.
Nulla nemmeno sulla governance.
Ci s’interroga allora sull’utilità di queste dispendiose conferenze.
E mi chiedo anche perché l’Italia e l’Europa hanno approvato questo testo vuoto?
Ricordo che alla conferenza di Bali nel 2007, di fronte all’ostinata opposizione della rappresentante di Bush, noi europei decidemmo di andare avanti comunque, rischiando il fallimento della conferenza pur di non annacquare in maniera inaccettabile il testo finale.
In una drammatica seduta plenaria, con il capo dell’Unep che scoppiò in lacrime, terminata in tarda mattinata dopo un intero pomeriggio e una notte insonne di braccio di ferro, la delegata degli Usa, di fronte all’isolamento e alle offese ricevute da molti piccoli stati, ritirò il veto e un applauso liberatorio terminò lo scontro.
Ci sono momenti in cui è meglio un confronto aperto e duro piuttosto che un compromesso a ogni costo.
Per fortuna tante associazioni, enti locali, imprese etiche stanno operando autonomamente per ridurre le proprie emissioni e proprio in occasione del Vertice sono stati annunciati risultati concreti di taglio delle emissioni.
È una speranza ma anche un ulteriore riprova della crisi delle politiche e delle istituzioni tradizionali, e questo resta un grande problema.
Una risposta a Rio+20: Vertice fallito, la green economy tradita