10 anni dopo il blackout: non servono vecchie centrali ma intelligenza

Il 28 settembre del 2003, alle tre del mattino, era un giorno di domenica, in Italia si verificò il black out.

Come ha raccontato uno dei Direttori generali del ministero dell’Industria dell’epoca, Ortis, in un convegno di qualche giorno fa tenutosi al ministero dello Sviluppo Economico, si verificò di notte per difficoltà alla linea elettrica svizzera.

Quell’evento fu utilizzato per rilanciare la richiesta del nucleare, ed anche per varare una serie di provvedimenti che rendevano più facile disseminare l’Italia di centrali, in molti casi inutili.

Oggi dobbiamo ricordare con chiarezza che un’indagine, conclusasi pochi mesi dopo l’evento, aveva evidenziato che le responsabilità del blackout erano nelle inadeguatezze della rete, tanto è vero che era avvenuto alle tre di notte di domenica mattina quando i consumi elettrici del Paese erano bassissimi. Sicuramente, le ragioni del blocco non erano dovute alla difficoltà o alla mancanza di centrali di produzione di energia.

Intanto, in questi anni, grazie al Conto Energia del 2007, le rinnovabili hanno assunto una dimensione importante nella produzione elettrica nazionale.

Purtroppo molte vecchie centrali obsolete a carbone o ad olio combustibile, sono ancora aperte e addirittura pretendono di ricevere un contributo pubblico per continuare a funzionare, anche senza essere utili al sistema.

La vera sfida, come si evidenziava anche in questo convegno cui ho partecipato il 26 settembre, è lo stoccaggio, ovvero la capacità di conservare quantitativi di energie rinnovabili che possano cosi crescere in modo ancora più significativo.

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